venerdì, giugno 09, 2006

Il Partito degli Orchi


Gli abusi sui più piccoli non sono certo storia nuova. Alcune civiltà, molto evolute per altri aspetti, hanno in alcuni casi addirittura istituzionalizzato certe pratiche cosiddette "di iniziazione".

Con la nascita del pensiero scientifico che, pur con le sue limitazioni e i suoi difetti, resta comunque uno dei metodi più validi in nostro possesso di comprensione e gestione della realtà, abbiamo iniziato a studiare più consapevolmente noi stessi e, conseguentemente, noi stessi in fase di crescita.
Ci siamo così resi conto che la mente e la personalità di un uomo o di una donna in fase di crescita sono particolarmente delicati e importanti, da curare per la sanità mentale e fisica dell'individuo adulto che ne uscirà.
E' nato così il concetto moderno di infanzia.

Questo concetto ha anche portato a dei travisamenti, di cui ho già parlato (vedi L'Orrore delle Fiabe), ma è sicuramente una delle più grandi conquiste nell'evoluzione dell'uomo. Fino ad oggi infatti, nei paesi più avanzati dal punto di vista sociale ed economico, vi è stata una sempre maggiore presa di coscienza e conseguente difesa (più o meno riuscita) dell'infanzia.

Spesso però la civiltà porta decadenza, soprattutto quando si dimenticano le proprie radici e si nega il proprio valore, come noi europei stiamo purtroppo facendo con sempre più autolesionistica decisione.

Così oggi nasce il PDO, il Partito degli Orchi, in uno dei paesi del Nord Europa dove i concetti di libertà assoluta e relativismo culturale sembrano ormai aver oscurato le più elementari basi dell'etica faticosamente costruita in millenni di storia. Sono cose che capitano, disperatamente ovvie in un mondo preda della Morbosa Illusione di cui JRRT avvertì chiaramente, prima di molti altri, il fetore.

La mia prima reazione viscerale è stata l'idea di fondare il PDSO, il Partito dei Suonatori di Orchi (in particolare pensavo all'uso delle pelli per fare dei buoni tamburi), ma separando il simbolo dal contenuto, la metafora dall'oggetto, ho subito scartato l'idea, che ha in effetti un suo fascino ma porterebbe alle ben più pericolose e disastrose conseguenze di cui dopo 60 anni abbiamo ancora buona memoria.

Quindi che dire, che fare?
Abbiamo due possibiltà: assistere impotenti alla trasformazione dell'Europa in quella società di debosciati che è il ritratto preferito che ne fanno alcuni (indegni) rappresentanti di altre culture per giustificare la loro ferocia disumana, ritirandoci nel proprio guscio mentre in nome di non si sa bene cosa (neppure i promotori lo sanno, alla fine) la nostra identità culturale e morale, concetti che tanto ci spaventano, viene metodicamente distrutta; oppure ripartire dal basso, ripartire proprio da quell'infanzia che qualcuno in nome del proprio egoistico e laido piacere vuole distruggere, difenderla con le unghie e con i denti, insegnando ai nostri figli valori appena più autentici del calcio e del wrestling e delle Barbie e delle veline.

Ma nel frattempo?
Nel frattempo la fantasia, quella fantasia, che ultimamente viene spesso distorta e indotta nelle sue forme più morbose, può diventare l'arma per combattere questi orchi.

Che, poverini, ne sono privi, privi di autentica creatività, incapaci di capire la reale bellezza di un bambino, incapaci di amare e rispettare se stessi (figuriamoci gli altri), attirati morbosamente da una purezza e da un'innocenza che non potranno mai riuscire a comprendere, come sudice falene intorno a un lampione.
Povere larve, non odiamoli ma compatiamoli e isoliamoli, affinché non danneggino altri e loro stessi, sovrastiamo la loro immaginazione viscida con la luce della fantasia autentica, sub-creativa, ricca, luminosa e positiva di autori come Tolkien e Lewis, Clarke e Zelazny, Heinlein e Simak, Calvino e Buzzati e con la fantasia di tutti noi che cerchiamo di seguirne le orme.

Images by: http://www.herr-der-ringe-film.de

martedì, giugno 06, 2006

Poesie: Pensosa


In questa luce soffusa
di canti
d’amori vissuti o sognati
di pianti accennati
di cuori saziati o straziati
contemplo
pensosa
i miei anni
i nuovi e gli antichi timori
i no a possibili imprese
i fiori non colti
i sogni appassiti e smarriti
l’affetto donato anche a chi non vedeva
il convito d’amore
i miei figli e i frutti da essi donati
pensosa
ringrazio
di potere ancora pensare.

martedì, maggio 23, 2006

Erika e la morbosa illusione



Una ragazza, carina, Erika.
Cinque anni fa, a quanto ho sentito dire, ha massacrato con particolare ferocia sua madre e il suo fratellino, mentre questo la supplicava di non ucciderlo.

La persona incaricata di ricomporre i corpi, a quanto ho sentito dire, ha chiesto un pre-pensionamento per lo shock e l'orrore provato, lui che per tanti anni ha ricomposto con pietà anche persone straziate da incidenti automobilistici o ferrioviari.

Molti ragazzi allora, a quanto ho sentito dire, scrissero diverse lettere di solidarietà ad Erika.

In questi giorni Erika ha avuto un permesso di un paio d'ore per una partita di pallavolo all'esterno del carcere dove sta scontando la sua condanna a 16 anni. Nulla di strano, nell'ambito del programma di riabilitazione psicologica e reinserimento nella società.

Il fatto che io creda che una persona macchiatasi di un tale crimine non potrà mai e poi mai avere una vita normale e che certe legislazioni e certe forme di psicologia sembrino soffrire di una crisi di onnipotenza, non è però il tema su cui voglio soffermarmi.

La domanda piuttosto è: perché tutti i telegiornali e i quotidiani hanno dato tanta rilevanza a questo episodio? So che è una domanda retorica, ma mi sovvengono le parole di Tolkien nel suo saggio "Sulla Fiaba":

"La fantasia è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla Ragione, né smussa l'appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione. Al contrario: più acuta e chiara è la ragione, e miglori fantasie produrrà. Se mai gli uomini si trovassero in condizioni tali da non voler conoscere o da non poter percepire la verità (fatti o testimonianze), allora la Fantasia languirebbe finché essi non guarissero. E, se mai arrivassero a quello stato (e non sembra del tutto impossibile), la Fantasia perirebbe e diverrebbe Morbosa Illusione"
J.R.R Tolkien, Sulle Fiabe, da Albero e Foglia, Rusconi, Milano 1976 pag. 69

Credo che questo principio, oltre che alla fantasia, possa essere tranquillamente applicato a ciò che è il nostro immaginario collettivo indotto dai mass media.

In poche parole, una ragione malata può trasformare la naturale fantasia in morbosa illusione. Proprio qui sta il pericolo per i nostri ragazzi e qui è la grande illusione morbosa che stiamo trasmettendo attraverso i mass media: che pur di "comunicare" non tengono conto di chi riceve il messaggio e di come lo può interpetare.

Viene un particolare brivido a pensare che Tolkien stesso iniziò a scrivere una continuazione del Signore degli Anelli, intitolato "Il ritorno dell'ombra", poi abbandonata dopo poche pagine, che iniziava nella città di Minas Tirith, diversi anni dopo la Guerra dell'Anello, nella quale i ragazzini si divertivano giocando a fare gli Orchi.

Non stupiamoci quindi che i nostri figli scrivano lettere di solidarietà ad Erika.

Evk

Images by: H.R.Giger

sabato, aprile 29, 2006

FancyFleet

FancyFleet - Federazione Unita del Fantastico

Ho un sogno: gli appassionati di Tolkien, di Star Trek, di Narnia, di Star Wars, di Harry Potter, di fantascienza o fantasy in genere che collaborano a uno o più progetti comuni, con l'obbiettivo di restituire dignità e considerazione alla cultura del fantastico e alla cultura in genere nel nostro Paese.

Già immagino qualcuno storcere il naso: si tratta di storie e mitologie differenti, sia come target che come valore artistico e culturale. Niente da eccepire, anche se immagino che qualcuno degli appassionati più ferventi potrebbe obbiettare, ognuno a favore della proprio mondo fantastico preferito; ma è il caso di chiudersi ognuno nella propria torre d'avorio, quando fuori gli orchi e i lupi imperversano?

Guardiamoci intorno: la cultura in Italia, se consideriamo i mezzi di informazione più diffusi (in primis la televisione) soffre di una dilatazione in crescita fra una maggioranza sempre più alla ricerca di faciloneria, populismo, emozioni forti e spesso morbose, disimpegno e rozzezza e una minoranza di persone, dotate di critica e libero pensiero, che si guardano intorno incredule e costernate, pronte a rispondere ai giusti stimoli ma disperse in mille rivoli.

Spesso da persone di buona cultura, relativamente a opere come il Signore degli Anelli o 2001 Odissea nello Spazio mi sento rispondere "non mi interessa il genere" e interiormente mi cascano le braccia, sia perché, per fortuna, son sempre esistite e sempre esisteranno opere dell'ingegno artistico che superano i confini e anche gli eventuali limiti intrinseci di qualsivoglia genere letterario o cinematografico, sia perché mi verrebbe da chieder loro quanto effettivamente conoscono un genere che hanno sempre, predigiudizialmente, evitato.

Ma il massimo dell'assurdità si raggiunge quando in comunità già notevolmente messe in disparte dalla "cultura accademica ufficiale" e dai media, come ad esempio quella tolkieniana, si assiste a scontri all'ultimo sangue, dove dalla dialettica si trascende nell'attacco personale o di gruppo, su questioni spesso di lana caprina (film bello, film brutto) rispetto all'importanza che avrebbe, che so, far arrivare qualche lettura di Tolkien in più nelle scuole.

E magari di Harry Potter, perché no? Perché non leggere ogni tanto quello che può piacere e interessare particolarmente i ragazzi? Perché non integrare la loro passione magari con un'analisi delle fonti a cui si ispira la Rowling? Perché non utilizzare H.P. come perno per aprire un discorso più ampio sui miti popolari e utilizzare Tolkien per introdurre i miti "alti"?

Perché non insegnare ai ragazzi che la cultura e la lettura sono innanzitutto piacere e divertimento, così come l'impegno e lo studio nascono naturalmente dalla passione per un dato argomento o materia? E magari anche a molti adulti...

Edoardo Volpi Kellermann

martedì, aprile 04, 2006

Lettera ai nostri figli



Avete ragione: noi adulti siamo davvero strani.

Qualcuno di noi vi ha raccontato o vi racconta le favole, favole ricche di orchi, draghi, giganti che mangiano i bambini, pericoli e prove tremende da affrontare e sconfiggere per rimanere vivi e raggiungere il lieto fine (e vissero felici e contenti). Qualcuno di noi ha voluto poi rassicurarvi, perché gli orchi non esistono, i draghi sono estinti, i giganti domati.

Qualcuno di noi invece non vi ha raccontato le favole, perché sono troppo violente, troppo crudeli, e crede che voi non siate in grado di reggere tanta violenza e crudeltà. Forse ritenendo più rassicurante il mondo patinato e annebbiato della televisione, qualcuno di noi vi lascia ore ed ore a vedere programmi creati apposta per addormentarvi la mente, così che poi non ci disturbiate più di tanto con le vostre domande, spesso scomode.

Ci siamo però dimenticati di dirvi una cosa importante, vitale. Gli orchi esistono.
Anche i giganti, e qualche drago (per fortuna non molti di quest'ultimi, anche se riescono a fare molti danni).

Il problema è che sono diventati più furbi. Nelle favole in genere è facile riconoscere un orco, deforme, sporco, brutto, puzzolente. Invece nella nostra realtà, quella della scuola, del lavoro, della Tv, gli orchi non li potete riconoscere. Spesso hanno una faccia pulita, affabile, vi raccontano che vogliono bene ai bambini e che vogliono proteggervi.

Ma se vi trovate da soli con loro, vi uccideranno. Se non vi uccideranno vi faranno del male, un male tanto profondo che spesso non si potrà mai guarire del tutto.

Non solo gli orchi si sono fatti più furbi e si travestono; ultimamente si nascondono in mezzo alle gambe dei giganti.
Anche i giganti ovviamente si occultano dietro parvenze di onorabilità e rispettabilità. A differenza degli orchi però, essendo molto più intelligenti, riescono a raggiungere posizioni di grande potere nella nostra società e hanno costruito grandi, enormi e affascinanti palazzi.

Questi palazzi però sono talmente grandi, talmente vasti e labirintici, e i giganti sono così presi dai loro enormi, mastodontici progetti, e dalle loro gare per vedere chi riuscirà a costruire un palazzo ancora più grande e mastodontico, che sovente non si accorgono della presenza degli orchi.

Oppure se ne accorgono e lì per lì li fanno anche imprigionare, dicono che bisogna fare attenzione a quel tale orco; ma poi, distratti evidentemente da altre cose, se ne dimenticano e lasciano che l'orco vaghi indisturbato per le magnifiche stanze dei loro splendidi palazzi.

Se poi l'orco uccide qualche principessa o qualche principino, pazienza.

Quindi occorre fare ancora più attenzione, perché anche se presi sul fatto capita che gli orchi non vengano imprigionati. Vengono lasciati liberi di compiere altre malefatte e di minacciare le loro vittime; addirittura vengono intervistati in Tv, in modo che riescano quasi a raggiungere il potere di persuasione dei giganti e dei draghi.

Questa non è una favola. O forse sì.

Forse potrete perdonarci, un giorno, perché noi adulti siamo strani.
E anche un po' vigliacchi.

Evk

Images by: Alan Lee

domenica, marzo 19, 2006

Storie: Fantasia e...


Fantasia ed immaginazione sono utili o no?

Una domanda che ha attraversato la nostra cultura e cui sono state date risposte molteplici e contrastanti, coinvolgendo filosofi, artisti e sapienti in genere.

Oggi anche la scienza, che si basa sulla sperimentazione e sulla definizione, perciò sull’uso di quella parte del cervello, nei destrimani l’emisfero sinistro, in cui risiedono le funzioni logico-verbali, quindi razionali, mostra qualche perplessità. Vedi, ad esempio la psiconeurologia e il bel libro di Antonio Damasio, L’errore di Cartesio, che rivaluta l’importanza, anzi la necessità dell’uso di quelle parti del cervello deputate alla rielaborazione delle emozioni e dei sentimenti. Emozioni e sentimenti che l’essere umano riesce meglio ad esprimere sia con il corpo sia con quella che Watzlawick chiama la lingua dell’immagine, della metafora, della pars pro toto, forse del simbolo, in ogni caso della totalità e non della scomposizione analitica.

Anch’io, inserendomi in questo dibattito sul valore o meno di un’opera di fantasia quale Il Signore degli Anelli, che a mio parere è un libro serio ed interessante, preferisco usare il linguaggio della metafora proponendovi una mia breve e modesta fiaba. La composi molti anni fa ispirandomi a mio figlio, a mia figlia ed alle sue amichette, che mi avevano fatto riflettere non solo sul valore della fantasia ma anche su altre tematiche connesse comunque al bisogno ed al diritto di immaginare, alla possibilità di intuire e di andare molto più in là di tante dotte e realistiche dissertazioni


FALPALELLA

C’era una volta una bambina di nome Luigina ma che tutti chiamavano Falpalella.
Questo perché a lei piacevano tanto i volants, alti bassi, smerlati o no, pieghettati o arricciati, non importa; sui suoi vestitini lei voleva sempre dei falpali e così sul bordo delle mutandine, dei calzini e dei grembiulini per andare a scuola.
Pantaloncini non ne voleva proprio; voleva solo gonne con i falpali; e anche camicette con le maniche sbuffanti e con tanti volants attaccati, così che la sua mamma, poveretta, diventava matta a stirarli ed era costretta a farsi aiutare dal babbo.
Avevano cercato di convincerla ad indossare i jeans, come tutti gli altri bambini, o perlomeno abitini lisci, magliette e felpe. Niente da fare. S’intristiva, le venivano i lucciconi, tirava su col naso e non parlava più. Lei che era una bambina buona, dolce, studiosa e sempre sorridente. E allora i genitori si rassegnarono: mica si può avere la perfezione!
E a chi le domandava perché volesse sempre i volants, magari uno solo per i vestitini di tutti i giorni, lei rispondeva: “Mi mettono allegria” e poi piroettava su un piede solo e saltellava canterellando.
A scuola certi bambini la prendevano in giro: “Ma come ti vesti?! Non usa mica più! Sembri mia nonna!”. Oppure certe smorfiosette mormoravano: “Vedi lei! Chissà chi si crede d’essere. La principessa Tumistufi!” e, quando lei si avvicinava per giocare, si allontanavano tutte impettite col naso all’aria.
Lo strano è che Falpalella mica stava ferma come una bambolina. Anzi! Giocava ad acchiaparello, a nascondino, andava sull’altalena e si arrampicava persino sugli alberi. Come facesse a non scorticarsi tutta era un mistero. Qualche graffietto se lo faceva anche lei ma come tutti gli altri.
Un giorno di primavera la maestra annunciò ai suoi scolari che li avrebbe portati in gita fra i boschi sulle colline: “Mi raccomando, portatevi lo zaino con la merenda e vestitevi in maniera adeguata, belli comodi!” e guardava con la coda dell’occhio Falpalella, tanto che i bambini se ne accorsero e si misero a ridacchiare.
Falpalella era al settimo cielo: andare fra i boschi, fare le capriole sui prati, giocare a palla…. E sognava, sognava tutte le meraviglie di quella gita, tanto che volle mettersi il suo vestito preferito, a fiorellini gialli e verdi, falpali al colletto, alle maniche e tanti, uno sopra l’altro, sulla gonnellina arricciata.
Mamma e babbo neanche ci provarono a farle cambiare idea, anzi mamma le aveva attaccato un paio di volants anche allo zainetto giallo su cui era dipinta una bella margherita bianca: “Mi raccomando, Falpalella, attenta ai sassi, alle ortiche, alle vipere; con le gambe nude è più facile farsi male”. Falpalella ascoltava e accennava di sì mentre piroettava su un piede solo, facendo allargare la gonnellina che sembrava un fiore.
Molti bambini, quando la videro, cominciarono a ridere: “Uh, Uh, guarda come si è conciata, e per arrampicarsi fra i boschi poi!”. Qualche bambina provò un pochino di rabbia perché Falpalella era molto graziosa. La maestra non disse nulla ma sbuffò e pensò: “Bisognerà tenerla d’occhio!”?
La giornata era piena di sole e i bambini correvano, saltavano, ogni tanto litigavano e si davano qualche botta: insomma, erano contenti. Ben presto molti si dimenticarono di come era vestita Falpalella e giocarono con lei che era sempre allegra e sorridente. Passarono le ore: mangiarono su un prato, giocarono a palla, inseguirono i raggi di sole che filtravano tra le foglie dei rami del bosco.
E giunse il momento del ritorno; erano stanchissimi: a chi pesava lo zaino, a chi dolevano i piedi, chi mugolava perché aveva sete e aveva bevuto tutto quello che s’era portato. E così tornavano indietro camminando tutti ciondoloni e la maestra doveva continuamente fermarsi e dire: “Su… forza…coraggio… fra poco arriveremo”. Ma la strada diveniva sempre più lunga.
Si alzò un po’ di vento. Meno male, almeno stavano più freschi!
Ma piagnucolavano lo stesso. “Ma come – osservava la maestra – voi che siete così sportivi!”
Fu allora che tutti, maestra compresa, si accorsero di un fatto assai strano: Falpalella, tutta allegra e sorridente, mica camminava, volava! Sì, volava; a tratti, ma volava. Si alzava sulle punte dei piedini, aspettava che il vento le gonfiasse la gonna, spiccava un balzo e via… quattro, cinque, sei metri veleggiando come un palloncino, meglio, come uno di quei semini leggeri, che sembrano paracadute e si staccano dagli alberi per andare a posarsi chissà dove; riscendeva leggera, si rialzava sulla punta dei piedi, aspettava che il vento le rigonfiasse la gonna e via di nuovo.
E quando arrivarono, tutti stanchi morti con la testa ciondoloni, Falpalella era fresca e sorridente, che neanche sembrava che fosse andata in gita.


Mariamartina


Immagine tratta da “Fantasia” - © MCMXL The Walt Disney Company

giovedì, marzo 02, 2006

Sulla Saggistica Tolkieniana


"Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire"
(Italo Calvino)

Una delle sezioni storiche di Eldalië, quella che forse ci contraddistingue maggiormente nel panorama web tolkieniano, quella che più amiamo e per la quale veniamo tacciati di un poco di pazzia (non tantissimi son disposti a mettere in rete così tanti materiali!) è la sezione dei Saggi. In essa accumuliamo materiali frutto delle letture e dei ragionamenti attorno all'opera e alla figura del Professore.
Egli stesso, però, si espresse in termini piuttosto critici... sulla critica, per l'appunto. Quindi, teoricamente, fare saggistica tolkieniana significa da un lato rendere un servigio a chi magari non ha letto o compreso determinati aspetti della sua produzione letteraria: dall'altro, però, si cammina pericolosamente sul filo del rasoio con cui il Professore stesso tranciava i suoi giudizi su un certo modo di intrufolare letture critiche nei suoi scritti.
Dunque, che senso può avere fare saggistica tolkieniana, anche a livello amatoriale?
Lo abbiamo chiesto a Nilfalathiel, una delle nostre commentatrici più valenti (vedere i suoi lavori per credere), ed ecco la sua risposta:
«Un libro ha la capacità di toccare le corde della sensibilità di ognuno; corde diverse, che producono suoni diversi. Quando lo si legge, il libro diventa come un diamante colpito da un raggio di sole: la luce brilla e si rifrange in mille direzioni. Leggere vuol dire cercare di seguire almeno una di quelle direzioni, entrare nel mondo che l'autore ha creato con le parole, per amarlo, o dimenticarlo. Leggere vuol dire mettere da parte per un po' le cose che ci circondano, staccare la spina, per ritrovare se stessi in un'altra dimensione.
Ma cosa vuol dire commentare un autore e la sua opera?
Vuol dire prima di tutto amare quell'autore, volerne comprendere a fondo la magia. Commentare serve a capire, e a far capire.
Per troppo tempo l'opera di Tolkien è stata sottovalutata, o peggio ancora, bistrattata o distorta faziosamente. Eppure questo schivo Professore di Oxford ha creato una mitologia, ha risvegliato l'epica in un'età che sembrava averla dimenticata. L'opera di questo insigne filologo costituisce l'eredità che la grande letteratura del passato ci ha lasciato.
La Terra di Mezzo affonda le sue radici nel nostro mondo, le sue storie sono l'eco di storie senza tempo: commentare Tolkien vuol dire dare voce a quelle storie perché non siano dimenticate».

Gianluca Comastri - (c) Eldalië, 2004

giovedì, febbraio 23, 2006

Simboli e Proiezioni?


Mi viene in mente che Tolkien parlava di distinzione fra "fantasia" e "morbosa illusione", quindi mi chiedo: dove finisce l'interpretazione dei simboli e dove inizia la loro forzatura a giustificazione delle distorsioni della nostra psiche? Qual' è il confine fra l'analisi neutra dei segnali e la proiezione su di essi di nostri bisogni più o meno indotti, più o meno autentici?

Edoardo Volpi Kellermann


Il significato che l'uomo attribuisce a una qualsiasi cosa, che quindi diviene un simbolo è sempre un attribuzione derivante dalla psiche umana e collegata al mondo magico e simbolico dell'infanzia.

Gli psicanalisti si rifanno ai concetti sessuali a causa della dinamica edipica che caratterizza l'infanzia dai 3 anni. È certo che, rifacendomi a quanto citato nel blog, spesso si attribuisce a determinati oggetti la caratterizzazione sessuale proprio perché tale argomento pregna la vita di ogni individuo in modo ineliminabile, vuoi a causa delle pulsioni, come affermava Freud, o come reazione agli antichi Tabù sociali.

Perciò ritengo che spesso tali attribuzioni derivino da una forma di giustificazione, sicuramente inconscia, al desiderio di trattare tali argomenti da parte dell'uomo.

Il bambino utilizza i simboli per risanare il più possibile le ferite inferte dalle inevitabili frustrazioni che la relazione con l'altro realizza; così l'uomo adulto forza alcune immagini simboliche per sua gratificazione personale.

Il confine tra forzatura e l'interpretazione neutra dei simboli è da ricercare all'interno di se stessi nel momento in cui si interpreta un simbolo.

Carmen Rusca dello Smial Bolgeri

Images by: Alan Lee

martedì, febbraio 21, 2006

L'orrore delle fiabe


Caro Melog,

vorrei rispondere a quella madre di cui stamani avete fatto ascoltare l’accorato messaggio durante la vostra trasmissione radio: “di fronte all'orrore delle fiabe, come quella di Cappuccetto Rosso che viene mandata dai genitori nel bosco a essere mangiata dal lupo, o come quella di Hansel e Gretel che stanno per essere divorati dalla strega, meglio le fatine televisive”.

Senza voler nulla togliere alle fatine, che se piacciono così tanto evidentemente qualcosa di buono lo rappresentano, che grave, gravissimo errore educativo. Cara signora, lei come tanti altri pensa di far crescere i propri figli in un mondo "imbambagiato", senza paura, senza terrore, senza il senso del pericolo.

Stiamo crescendo una generazione di lobotomizzati, incapaci di rendersi conto di quanto succede nel mondo, proprio perché gli è stata negata la fruizione di quelle antiche fiabe, di quei miti millenari che rappresentano e rielaborano la paura dei pericoli reali, delle aspre battaglie esteriori o interiori che presto o tardi dovranno affrontare.

E così giungiamo all'estrema conseguenza di quanto successe nel XIX secolo, quando le fiabe e i miti furono edulcorati, ridotti e relegati nelle stanze dei bambini, come mobili vecchi che non interessano più, e gli adulti iniziarono a vivere questa dicotomia fra fantasia e realtà - come se prima non si sapessero distinguere - che li rende incapaci di rapportarsi con i bambini perché non sanno più dialogare con quanto di nuovo e fresco è rimasto in loro stessi.

Si legga con attenzione questo articolo di una delle più grandi scrittrici americane viventi, e ci mediti su: Su Tolkien e le Fiabe


Edoardo Volpi Kellermann

Immagine by: Ted Nasmith

giovedì, febbraio 16, 2006

Giocare con i simboli


Ma il Signore degli Anelli è Gay?

In risposta alla trasmissione Melog su Radio 24.

Stamani stavo, come sempre, seguendo la divertente e dissacrante trasmissione Melog su Radio 24 condotta da Gianluca Nicoletti (già autore della mitica trasmissione Golem) che analizza e commenta con spietata e sarcastica lucidità il linguaggio televisivo.

L'argomento della puntata toccava anche la violenza in TV e i bambini e l'intervento di un ascoltatore ha tirato in ballo Il Signore degli Anelli. Con le orecchie ben ritte ho ascoltato l'ascoltatore, padre di un bambino di 6 anni a cui aveva fatto vedere l'intera trilogia, trovandola assolutamente scevra da qualunque forma di violenza gratuita e della quale il pargolo si è innamorato, restandogli comunque accanto per tutto il tempo e spiegandogli ad esempio cosa rappresentano gli orchi nella mitologia nordica.

Il conduttore ha allora risposto citando come contro-esempio l'interpretazione data alla storia dal film Transamerica dove il figlio della protagonista transessuale, ovviamente provato da una vita di eccessi, spiega alla madre / padre come il Signore degli Anelli sia in realtà gay. Il simbolo della Torre Oscura, questo enorme membro maschile che punta verso una sorta di vagina infuocata... Frodo e Sam che entrano in un oscuro antro per gettare l'anello in una vasca ribollente... Frodo che fallisce, e viene punito da Gollum con l'amputazione...

Deliziato da tale profondità di analisi, ho scritto subito dopo alla redazione di Melog:

Caro Melog,
l'interpretazione del Signore degli Anelli donataci dal povero figlio stravolto della protagonista di TransAmerica è solo l'ulteriore dimostrazione che sapendo maneggiare un poco i simboli si può affermare tutto e il contrario di tutto, come i sofisti a suo tempo avevano dimostrato e come i mass media oggi riescono a fare con cotanta bravura (vedi caso aviaria).
Mi chiedo cosa il triste personaggio avrebbe pensato di Piazza dei Miracoli...
Elen síla lúmenn’ omentielvo (una stella brilla sull'ora del nostro incontro)

Dopo 7 minuti di orologio vengo contattato da una simpatica signorina della redazione che mi invita a lasciare lo stesso messaggio, questa volta in forma vocale, sulla segreteria telefonica della trasmissione per la puntata di venerdì 17 febbraio, alle 08:30: e così ho fatto.

Da questa pagina è possibile ascoltare le trasmissioni per intero oppure un estratto da entrambe le puntate relativamente a questa discussione.

Edoardo Volpi Kellermann

venerdì, febbraio 10, 2006

Sotto le orecchie a punta


“In una caverna sotto terra, viveva un Hobbit”.

Quando scrisse distrattamente questa frase sul retro di un compito che stava correggendo, il prof. John Ronald Reuel Tolkien certo non immaginava che avrebbe cambiato di lì a qualche anno la storia della letteratura del XX Secolo e l’immaginario di milioni di persone in tutto il mondo.

Dai tempi in cui aveva prestato servizio militare durante la Prima Guerra, lavorava su un grande corpus mitologico, un legendarium nato dalla sua passione per le lingue e le antiche leggende norrene e anglosassoni, ma per suo piacere personale. Mai avrebbe creduto che tali opere avrebbero potuto interessare qualcun altro.

Quando questa personale mitologia fece da ambientazione prima al “Lo Hobbit” e poi al Signore degli Anelli (1955), divenne in un certo senso una mitologia autentica, risultando quest’ultimo il libro più venduto nella storia dopo la Bibbia.

La passione per queste storie e questo mondo immaginario, la Terra di Mezzo, continua ancora oggi senza perdere un colpo, visto l’afflusso di oltre 4.000 persone giunte alla Cascina Robbiolo di Buccinasco dal 20 al 22 gennaio scorso.

Evidentemente i libri di Tolkien parlano al cuore, e come ogni buona fiaba possono (anche se non intendono) insegnarci qualcosa; e coloro che si mettono le orecchie a punta e i costumi elfici non sono disadattati incapaci di vivere nel mondo “reale”, bensì persone che amano le belle storie e l’etica che le sottende, la natura, la bellezza, la musica, la poesia: tutto ciò che esiste di elfico al mondo.

Così fra giochi di ruolo e laboratori artistici per i ragazzi, conferenze di studiosi e letterati e concerti di musica classica, celtica o Rock, combattimenti con la spada e splendidi costumi, frasi in elfico e gadget ispirati alla trilogia cinematografica – che è stata proiettata in toto dal pomeriggio alla notte inoltrata di venerdì – si nasconde qualcosa di ben più profondo, un “non so che” di Tolkien come avrebbe scritto il grande bardo: un amore per il mondo che si esprime e lo trascende attraverso la fantasia.

Edoardo Volpi Kellermann

giovedì, gennaio 19, 2006

Perché gli elfi...


...sceglierebbero un Mac?


Comunicato creato in occasione del I Festival Tolkieniana Net

Perché è più bello fuori?
Gli elfi amano le cose belle e curate. Anche l’aspetto di ogni Macintosh è curato in ogni particolare, sia all’esterno che all’interno, utilizzando materiali non nocivi e riciclabili. Quando si utilizza uno strumento piacevole da vedere e da toccare, costruito con cura e passione… si lavora meglio.

Perché è più bello dentro?
Apple, 30 anni fa, ha inventato il Personal Computer. E da allora a continuato a cercare il modo di renderlo più potente e flessibile ma soprattutto più facile da usare. Ecco perché il suo sistema operativo, Mac OsX, è così semplice, ed è così divertente e stimolante da scoprire: tutti coloro che hanno contribuito alla sua progettazione ci hanno messo l’anima, per renderlo più umano.
Pardon, più elfico.

Perché è più robusto?

Mac OsX è un po’ come i mallorn, gli alberi creati dall’influsso benefico degli Elfi: non si ammala. Non esistono virus per Mac OsX, nonostante sia sul mercato oramai da oltre 5 anni, nonostante sia diffuso su milioni di Macintosh, nessun Orco è mai riuscito a creare un virus che lo potesse infettare seriamente.
E le sue radici affondano in Unix, che è robusto come le gambe di un Ent. Così, anche se un programma compie un grave errore durante il suo funzionamento, non metterà mai in crisi il sistema operativo, permettendoci di continuare ad usare tranquillamente il nostro computer. 
Così, quando accendiamo un Mac, non dobbiamo preoccuparci se siamo collegati ad Internet senza un programma Antivirus aggiornato o se qualcuno può spiare i nostri dati personali: semplicemente, possiamo iniziare a lavorare, a creare, a giocare.

Perché è più libero?

Ci sono persone che continuano a raccontarci che il Macintosh ha meno programmi, che costa di più, che non è compatibile e quindi non può dialogare con gli altri computer, che funziona meglio solo per fare grafica o musica (è vero che funziona meglio, ma non solo per la grafica o la musica). 
Ce ne sono altre che continuano ad affermare che Tolkien è uno scrittore superficiale e disimpegnato, che la fantasia e la mitologia sono delle menzogne che ci fanno fuggire dalla realtà, che se un libro non parla di problemi quotidiani non può essere un capolavoro. 
Tutte queste persone hanno qualcosa in comune: non hanno mai usato seriamente un Mac, non hanno mai letto con attenzione Tolkien, e soprattutto vogliono convincerci che non abbiamo libertà di scelta. Un po’ come Sauron.
Ecco perché gli elfi sceglierebbero un Mac.

Edoardo Volpi Kellermann